Anno XII - N. 22
MONDO
ECONOMICO
SETTIMANALE DI INFORMAZIONE E DI POLITICA ECONOMICA
- Lo “stellone„ non basta
- Mercato Comune e responsabilità imprenditoriale
- Nuovi problemi e nuovi compiti per i sindacati
- I socialisti di fronte al sindacato
- Il disordine delle finanze di Napoli
- Zibaldone (Libero Lenti)
- La concentrazione industriale e il Piano Schuman
- Kruscev tenta la conquista del potere assoluto ?
- Un convegno internazionale sulla Ricerca Operativa
⮽
Mercato Comune e responsabilità imprenditoriale
Le considerazioni che seguono, ispirate soltanto indirettamente alla discussione sul Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, traggono spunto diretto da alcune riflessioni svolte in occasione di un breve convegno di studio che sul Trattato stesso l'UCID ha recentemente indetto a Rapallo fra gli imprenditori dei Gruppi Ligure, Lombardo e Piemontese.
L'iniziativa — in sè assai opportuna e coronata da completo successo per il numero e la qualità dei partecipanti — ha infatti offerto a chi scrive l'occasione di riflettere su un certo insieme di atteggiamenti e comportamenti recenti di alcuni nostri gruppi imprenditoriali — tipici fra questi quelli rappresentati al Convegno in questione — apparsi particolarmente degni di attenzione, in quanto fortunatamente (e finalmente) affioranti nel delicato momento attuale, caratterizzato dall'affacciarsi sulla scena europea del Trattato europeo.
Premesso, infatti, che una manifestazione del genere non poteva non assumere, per il solo fatto della sua composizione e del tema scelto, un significato di conferma dell'impressione di interesse apparentemente attribuito al Trattato da molti fra gli ambienti interessati alla produzione, nonchè di un certo sforzo di meditazione e di azione col quale sembra, questa volta almeno, si voglia in Italia prepararsi agli avvenimenti (si vedano in proposito, oltre alla serie di Convegni a sfondo imprenditoriale, alcuni recenti e interessanti esami e prese di posizione sindacali), Bioverà innanzitutto e più specificamente notare che nel corso di questo Convegno vi fu, da parte tanto del relatore come degli intervenuti, l'enunciazione di una ferma, impegnata e non condizionata adesione agli obiettivi tutti del Trattato; quale non era PI ma occorso di intendere affermata in ambienti imprenditoriali.
Fatto, questo, a mio avviso di notevole interesse, anche, vorremmo dire, politico; se si tiene presente l'ambiente costituito da imprenditori qualificati e responsabili, e soprattutto se si sottolinea di tale ambiente la specifica qualificazione cattolica.
Qualificazione che non poteva, ovviamente, lasciar sfuggire ai presenti l'occasione di sottolineare con una punta di amarezza come la firma di questo Trattato segni l'accantonamento dei tentativi di realizzare una Europa unita innanzitutto su basi politicoistituzionali, per cedere il passo al tentativo, di imPostazione più tipicamente liberale, di coagulazione della Comunità su un preliminare substrato di unità economica. Il che non ha in alcun modo impedito una precisa affermazione di adesione agli scopi del Trattato, se mai ulteriormente corroborata dalla precisa coscienza di dover in esso infondere lo stesso impegno europeistico riservato a suo tempo nell'impostazione di De Gasperi e Schuman.
Si è avuta, cioè, la precisa sensazione dell'esistenza, nell'ambito del gruppo imprenditoriale rappresentato a Rapallo, di una convinzione europeistica decisa a superare di slancio qualunque eventuale recriminazione per precedenti tentativi falliti; nonchè della volontà di accettare realisticamente la problematica imposta dalla situazione, con un impegno se mai soltanto accresciuto dalla coscienza della necessità di fare della riuscita di questo esperimento la premessa per il rilancio futuro di più perfette costruzioni politiche unitarie e sovranazionali.
Per confermarsi nell'impressione di una certa novità di atteggiamenti particolarmente validi emersi in questo Convegno, gioverà poi, sorvolando su molti punti, soffermarsi sul fatto che, pur sottolineando la mole, l'importanza e, in qualche caso, la preoccupante complessità dei compiti di revisione legislativa che attendono nell'immediato futuro i nostri organi legislativi (non a torto fu richiamata la necessità di apportare, in un futuro relativamente breve, sostanziali revisioni alla nostra legislazione doganale, previdenziale e fiscale, il che non par poco), l'attenzione dei convenuti non mostrò in alcun modo di volersi attardare sulle solite posizioni di comodo, del richiamo alle altrui responsabilità: in particolare responsabilità governative.
●
E qui, il pensiero non poteva non andare, in contrapposizione, a certe prese di posizione spesso affiorate in passato in manifestazioni imprenditoriali a base più allargata. E non andarvi con un senso di speranza e attesa suscitata dalla constatazione della presenza, pur nell'ambito delle forze genericamente imprenditoriali, di gruppi decisi a non condividere in tutto atteggiamenti forse anche in qualche caso giustificabili, ma spesso indubbiamente di comodo, e comunque per loro natura assai poco « imprenditoriali »: quando alla funzione imprenditoriale non si voglia togliere ogni suo più tipico significato e valore, fino al punto di non rilevarne l'incompatibilità con atteggiamenti che, limitandosi a richiamare l'attenzione sulle realizzazioni che ci si attende da altri, sembrano in queste richieste voler esaurire o distrarre il compito dell'imprenditore vero.
Il quale proprio in tanto sembra poter rivendicare la dignità della sua funzione in quanto di questa sua funzione mostri di non dimenticare l'intima e impegnativa natura di trascinamento, di guida, in altri termini di leadership: di abitudine cioè a procedere prima, e spesso solo, su strade congenitamente difficili, e solo in quanto tali da ritenersi socialmente e economicamente retribuibili nella misura attuale.
Fu in questo quadro che si giunse, anzi, nel corso dei brevi lavori, a serenamente esaminare, in modo talvolta anche critico, la capacità e preparazione com-plessiva dell'imprenditorialità italiana a fronteggiare i gravosissimi compiti che sul piano tecnico il Trattato sembra destinato a imporle nel prossimo decennio per vincere la battaglia genericamente concorrenziale che, è facile prevedere, non mancherà di scatenarsi, soprattutto in alcuni settori.
●
Partendo dalla premessa, a mio avviso in tutto accettabile, che mai come nei prossimi 10 anni, una volta approvato il Trattato, le sorti di un avvenire economico italiano per il nostro popolo saranno nelle mani della nostra imprenditorialità, unitamente a quelle della nostra dirigenza politica e sindacale, e chiarito come l'aggettivo italiano aggiunto ad avvenire economico stia a richiamare l'attenzione sul riconoscimento che, in caso di sconfitta dei nostri complessi produttivi, si potrebbe solo immaginare, sia pur fuori da apocalittici quadri di disoccupazione e crisi, una prospettiva di massicci trasferimenti altrove di molti dei nostri fattori produttivi (operai qualificati, tecnici ecc.), da realizzarsi a costi sociali inevitabilmente elevati; partendo da tale premessa, dicevamo, si giunse ad affermare una volta ancora la necessità che di questa insuperabile realtà ci si renda conto in Italia, da ogni parte.
Questo però, occorre notarlo, con accenti diversi dai generici e purtroppo abituali richiami ai pregiudiziali doveri dell'autorità politica, ai quali certa oratoria confintesina era sembrata in un passato recente volerci abituare, e ponendo invece l'enfasi sulla necessaria complementarietà dell'azione delle varie forze interessate, e sulla necessità del loro rispetto reciproco.
Ne è, indirettamente, risultata una serie di precisazioni sul tipo di graduazione di responsabilità che la nostra opinione pubblica dovrebbe abituarsi ad attribuire alle diverse forze accennate per quanto potesse riguardare domani un nostro riuscito o fallito inserimento nell'ambito della istituenda Comunità. Così come si è pure implicitamente avuta l'impressione di una scarsa tendenza dei convenuti ad accampare diritti o ad avanzare ipoteche presenti o future a esclusivo favore degli imprenditori, come anche a soffermarsi una volta di più in aprioristiche dispute sulla maggior o minor validità dell'imprenditorialità privata, in presunto contrapposto con quella pubblica.
Il che è sembrato, a chi scrive, fatto di notevole importanza. Dal momento che niente potrebbe essere più pericoloso, per le sorti della nostra industria, del prolungamento dell'attuale situazione di sospetto reciproco che caratterizza i rapporti fra imprenditorialità privata e imprenditorialità semi-pubblica o pubblica.
Quando, infatti, alla parola imprenditorialità si volesse finalmente dare il suo preciso significato, del resto ben precisato dalla teoria economica che ne ha attentamente sviscerato le funzioni essenziali, non si mancherebbe di superare rapidamente gli oziosi contrasti accennati: l'imprenditore o è buono e efficiente imprenditore, o non è imprenditore.
Se è buon imprenditore, tecnicamente efficiente e socialmente sensibile (capace cioè di valutare nella giusta misura i costi sociali eventualmente generabili da certe sue alternative di scelta possibili nel campo tecnico ma a lui vietate nel campo sociale e morale) la sua azione non potrà non essere vantaggiosa all'economia nazionale, e tale sarà sia se l'azienda che dirige è controllata da capitale privato, sia se essa è un'azienda controllata da capitale statale o una azienda pubblica.
Se non è buon imprenditore, la sua azione sarà dannosa all'economia nazionale qualunque sia la struttura patrimoniale o giuridica dell'impresa che è chiamato a dirigere.
Ora, è la nostra imprenditorialità, nel complesso, all'altezza della situazione e dei compiti che l'attendono attualmente, ma soprattutto nei prossimi 10 anni, e perciò in grado di assolverli?
●
Questo sembra il centro della questione, e questo sembra infatti essere stato il punto sul quale non ha mancato di soffermarsi — sia pure un po' di sfuggita — l'interesse degli imprenditori riuniti a Rapallo, da parte dei quali non è mancata una chiara coscienza, criticamente espressa, secondo la quale, se esistono molti motivi per non ritenere l'imprenditore italiano a priori inferiore all'imprenditore estero, non esistono però nemmeno motivi per affermare l'imprenditorialità italiana, nel suo complesso, sempre e comunque superiore alle corrispondenti classi imprenditoriali degli altri Paesi europei.
Questione questa che, in quanto posta, già potrebbe stare da sola a giustificare nel suo alto valore critico un sostanziale atteggiamento di ottimismo, ma che richiederebbe di essere ulteriormente esaminata, per vedere di giungere almeno a un giudizio di insieme sul merito delle risposte da darsi.
Senonchè, in questa sede, sembra soltanto il caso di affermare che è proprio dal riconoscimento di un esame critico di questo tipo che dovrebbero nascere, negli ambienti italiani più responsabili, alcuni stimoli a un'azione in questo campo. Se veramente si vuole, come si vuole, da un lato sinceramente aderire allo spirito del Trattato, e dall'altro far di tutto per risolvere questa adesione in un concreto beneficio per la nostra economia.
Non mancano, infatti, nel quadro di dinamismo e iniziative che sembra descrivere gli aspetti prevalenti del mondo produttivo italiano in questo dopoguerra di generale risveglio di tutto il nostro popolo, alcune ragioni per ritenere che una parte almeno della nostra classe imprenditoriale — e a mio avviso si dovrebbe pensare soprattutto alle zone di pertinenza dell'industria media e medio-grande — si presenti nel suo insieme come alquanto inficiata dalla presenza di mentalità, impostazioni e metodi a volte arretrati, più spesso improvvisati e asistematici, tali comunque da non poter dare garanzie di reggere senza qualche difficoltà il confronto con i corrispondenti gruppi imprenditoriali, ad esempio, tedeschi; tanto per citare un riferimento tra i meno controversi e per evitare di imbarcarsi in un problematico confronto con quanto avviene in Francia o in Belgio, o in altri Paesi a struttura economica meno nettamente dinamica.
Senonchè, non essendovi chi non veda da quale larga zona di arbitrarietà siano affette valutazioni di questo tipo quando formulate in modo tanto sommario; e d'altro canto non potendosi da alcuno dissentire sulla opportunità e utilità di una azione diretta a rimediare a eventuali deficienze riscontrabili nell'ambito della nostra classe imprenditoriale o, nella migliore delle ipotesi, a potenziarne eventuali superiorità, una conclusione sembra lecito affacciare: uno sforzo diretto a perfezionare o migliorare l'efficienza della nostra imprenditorialità sembra in questo momento costituire per l'economia italiana obiettivo di importanza pari se non superiore all'altro, rappresentato dalla necessità di qualificare o riqualificare la nostra mano d'opera (sul quale non è nemmeno il caso di soffermarsi dopo quanto di sacrosanto si è in questi ultimi tempi da ogni parte detto in proposito).
Nè un tale sforzo di soluzione del problema sembrerebbe dover trovare ostacoli o limitazioni sostanziali nell'ambito di eventuali preoccupazioni politiche, alimentate da altri gruppi sociali timorosi di un rafforzamento qualitativo dell'attuale dirigenza economica. Perchè dovrebbe da ogni parte essere chiaro (e nel chiarir ciò potrebbe forse identificarsi un compito di pertinenza anche della nostra dirigenza politica) che nell'ambito di impostazioni di sviluppo economico da realizzarsi al di fuori di schemi rivoluzionari, e quindi col necessario mutuo concorso dei lavoratori e degli imprenditori, niente è più indispensabile della disponibilità, a fianco di una classe lavoratrice istruita e sindacalmente ben guidata, di una classe di imprenditori preparati e socialmente e politicamente coscienti dei loro compiti.
Un Paese che voglia essere — o divenire — moderno, e che per di più si appresti ad aprire le porte e le finestre al vento corroborante del contatto con strutture politiche ed economiche esterne, non può in alcun modo mancare di una dirigenza economica efficiente. Chè se quella di cui dispone disgraziatamente mostrasse pecche o lacune, altra possibilità non esisterebbe, comunque, se non quella di indurla in tutti i modi a migliorare se stessa, dal momento che non è, a mio avviso, da illudersi che sia più facile creare una dirigenza economica ex novo, di quanto non lo sia migliorare quella che si sa.
Piero Bassetti
⮽
⮽