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La Rivista Internazionale di Scienze Economiche e Commerciali tratta la materia inerente con contributi di fondo e con la discussione di casi e di tecniche. E' pubblicata sotto gli auspici dell'Università Commerciale « Luigi Bocconi » di Milano. Esce in edizione mensile ed è distribuita in abbonamento alla quota annua di lire 4500. Sottoscrizioni presso la Direzione: Via P. Teulié 1, Milano, sul c.c. postale 3-32561.

PIERO BASSETTI

I PROBLEMI AMMINISTRATIVI
DI UNA GRANDE CITTÀ

Estratto dalla Rivista Internazionale di Scienze Economiche e Commerciali
Anno VII (1960) - N. 10

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PADOVA
CEDAM - CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI

PROPRIETÀ LETTERARIA

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Stampato in Italia — Printed in Italy
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Non sono molti coloro ai quali occorra spesso di soffermarsi in modo men che affrettato sui problemi complessi e assortiti che la vita e l'organizzazione di un grande Comune pongono non solo a chi dall'interno vi opera, ma soprattutto a chi da cittadino semplicemente vi partecipa.

Unica, quasi, occasione per farlo la ricorrente, quadriennale chiamata elettorale amministrativa, il momento cioè in cui l'esigenza, imposta dal sistema istituzionale, di manifestare una scelta programmatica o personale offre lo spunto a ciascuno per superare l'abituale distrazione e ricordare i suoi legami con l'ente pubblico. Legami che si scoprono allora esistenti non solo tra cittadini e stato, ma anche tra cittadini e enti locali. Vi è infatti un « pubblico » di carattere civico che, nel caso di grandi centri quali Milano, non dovrebbe mancare di prospettare all'attenzione, purtroppo assai discontinua dei suoi abitanti, una problematica non solo avvincente, ma oggettivamente rilevante.

La dimensione.

— La grande città moderna è il luogo nel quale si manifesta tutta una serie di problemi che per dimensione, complessità, articolazione la differenzia nettamente da realtà socio-politiche spazialmente e funzionalmente diverse.

In essa non solo si configurano in modo peculiare ambiente e rapporti umani : sociali, economici, amministrativi e politici; ma l'uomo stesso, il « cittadino », si fa sempre più particolare e diverso rispetto all'uomo del contesto rurale o piccolo cittadino, condizionato da problematiche umane di tutt'altra natura.

Si aggiunga che in generale la grande città, per posizione e struttura, diventa vieppiù il fulcro di vaste aree o addirittura di regioni, così legando in schemi e rapporti concreti quanto è postulato nelle strutture amministrative e politiche statuali. Con la conseguenza naturale che i principali problemi domandano di essere affrontati in base a una gravitazione molto più ampia della giurisdizione amministrativa cittadina. D'altro lato lo studio delle complesse connessioni fra la vita della grande città e quella della sua area gravitazionale dovrà essere fatto mirando ad un tempo a integrazioni politico-amministrative e a vere armonizzazioni sui diversi piani che tali soluzioni strettamente condizionano : geografico, ambientale, culturale, sociologico, economico, sociale, amministrativo e politico.

Milano, col suo milione e mezzo di abitanti viventi in una circoscrizione territoriale di 181 chilometri quadrati, rappresenta, da questo punto di vista, un immenso potenziale umano e quindi economico, amministrativo e politico compresso. La città è costretta in uno spazio fisico relativamente limitato, e in un'area amministrativa angusta e insufficiente.

Il fatto che l'80% dell'area comunale sia ormai costruita è una grave componente dei problemi più sentiti e discussi della città. Tali gli alti costi dello sviluppo edilizio, la difficoltà di creare spazi verdi, l'impossibilità di una soluzione funzionale organica all'esodo dell'industria e altre difficoltà ancora, che si riassumono nell'impedimento, più di tutti grave, di impostare i programmi del suo sviluppo in termini che riflettano la reale esigenza dei complessi rapporti già in essere fra Milano e i comuni limitrofi e circonvicini.

Il processo è a così rapida coagulazione da escludere ogni accademia sull'astrattezza o meno di questo genere di discorsi. Esso s'impone al cittadino anche al di là e in aggiunta ai drammi piccoli e grandi delle carenze e dei disagi della vita quotidiana.

Il disagio.

— Il cittadino milanese non dorme perchè frastornato dall'incessante rumore, non respira perchè afflitto da un'atmosfera irrespirabile; non arriva in orario al lavoro perchè malservito dai trasporti pubblici o bloccato da continue ostruzioni di traffico troppo spesso dovute al mancato coordinamento dei lavori; non trova dove parcheggiare l'automobile; non riesce a sbrigare rapidamente una pratica in Municipio per l'insufficienza della burocrazia; sente di non essere bastantemente protetto e assistito dalla vigilanza urbana; è costretto a inviare i figli in scuole lontane dall'abitazione e non sa dove trovar loro un piccolo spazio verde per il gioco e la ricreazione; sente dalla moglie i nefasti dei mercati privi o carenti di organizzazione e sorveglianza sui prezzi e le sofisticazioni; tutto questo a fronte di una gravezza di tributi che egli ritiene meritare diversa controparte. Allora l'ente pubblico gli appare in luce tutt'altro che demo-cratica, come il Leviatano cui tutto si deve e che a nulla è tenuto, mancante assolutamente di visioni prospettiche in materia di coordinamento e regolazione della vita cittadina.

Non pochi invero, a questo punto, sono coloro che si pongono il problema dei nessi di causa ed effetto che informano i vari problemi umani, sociali e ambientali, cui si è accennato. Ma sono considerazioni brevi e fugaci.

Valga per tutti un esempio. Per il verde pubblico Milano, con 0,9 mq. per abitante, è agli ultimi posti, se non all'ultimo, fra le metropoli europee ed extraeuropee. Un'indagine da me svolta su questo tema, mettendo in evidenza come il 72% dei milanesi pensi ad una soluzione del problema attraverso la creazione di « piccoli giardini » anzichè di « grandi parchi », ha fatto chiaramente intendere come sia ormai diffusa la tendenza ad attendersi soluzioni solo da provvedimenti di immediata realizzabilità, anche se di minor efficacia.

Assai più dei secondi sono infatti i primi ad essere considerati « realistici » e perciò utili; anche se non è difficile intuire che i secondi più tesa dei primi sono di definitiva incidenza.

La macchina amministrativa.

— Chi potrebbe dire ad esempio di aver fatto oggetto di una riflessione men che occasionale il meccanismo dei complessi adempimenti che all'atto della nascita di un individuo si impongono al Comune? Eppure ad ogni nuovo vagito si mette in moto una macchina fondamentale, di rilevazioni anagrafiche e di stato civile.

Assai complessi sono infatti i compiti e i problemi di un grande comune. Dagli asili alle scuole materne, alle varie forme di assistenza all'infanzia, all'edilizia specie elementare, il Comune di Milano, la cui spesa nel settore si aggira sui 7 miliardi, vanta una attrezzatura la cui efficienza trova conferma tanto nei dati sulla mortalità infantile — tra i più bassi del mondo — quanto in quelli di frequenza scolastica, tra i massimi in Italia.

Allo stesso modo, in una società moderna l'istruzione post-elementare e soprattutto quella professionale non mancano di porre gravi incombenze a una pubblica amministrazione quando si voglia — come qui si è giustamente voluto — far luogo in misura crescente a una visione della funzione scolastica non limitata alla classica concezione di consentire alla cittadinanza, che lo richiede, di « darsi un mestiere »; ma che assegni alla formazione professionale il ruolo sociale ed economico assai importante di di facilitare la dinamica all'interno dei gruppi sociali diversi, di allargare la base su cui si opera la selezione di tutta la classe dirigente cittadina e nazionale, di corretta ed equilibrata alimentazione delle esigenze dell'attività produttiva.

L'educazione e l'assistenza.

— Più blandi invece sono i rapporti che intercorrono nel nostro ordinamento fra l'amministrazione locale e l'istruzione che, sommariamente, si dice di tipo superiore.

Nei nostri ordinamenti questi compiti sono prevalentemente affidati allo Stato.

Il Comune, con circa 4,7 miliardi di spesa annuale in questo campo, può però svolgere una parte di grande rilievo impostando un corretto sistema di rapporti fra le relative istituzioni (licei, università, ecc.) e le sue tipiche (biblioteche, musei, insediamenti residenziali a scopo scolastico sul tipo dei « colleges ») oltre che con la costruzione, ad esso affidata, degli istituti scolastici.

Nè si dovrà in questo quadro dimenticare che i rapporti tra individuo e Comune dal punto di vista delle esigenze formative non sono solo di natura scolastica, nel senso stretto del conferimento di una cultura generale e di una preparazione al lavoro, ma anche di educazione civica, aspetto nel quale, tra retorica e trascuratezza, non si è trovato nel nostro paese il giusto equilibrio.

Da una recente indagine da me promossa (¹) è emerso fra l'altro che quasi un quarto dei milanesi non sapeva chi fosse il Sindaco di Milano, che l'85% non sapeva da quali partiti fosse composta la Giunta municipale, e — cosa che più dovrebbe preoccupare —, che il disinteresse per la cosa pubblica comunale è particolarmente accentuato tra i giovani fra i 25 ei 35 anni.

Un altro settore dove l'attività della grande città è imponente è quello dell'assistenza, per la quale Milano spende oltre 9 miliardi annui, pari al 7,4% della spesa globale. A maggior ragione in una città come Milano, che giustamente vanta di avere realizzato su standards qualificativi assai elevati una politica assistenziale che si avvicina a coprire i bisogni dell'individuo sull'intero arco della sua vita.

Senonchè anche qui l'evoluzione e il progresso sociale ed economico continuamente pongono problemi nuovi o ripropongono i vecchi in forme nuove, come l'assistenza alle persone anziane. E' questo un problema che nella società moderna tende a porsi con carattere di crescente gravità via via che tramonta l'unità familiare allargata per far posto all'unità familiare di tipo coniugale.

La casa.

— Allo stesso modo, il diffuso e sentito problema dell'edilizia popolare, pur entro le sue innegabili e imprescindibili implicazioni urbanistiche e sociologiche, deve correttamente collegarsi per alcuni aspetti ai problemi di assistenza sociale in senso lato.

Scopo dell'edilizia popolare non è soltanto quello di provvedere un tetto a condizioni economicamente accessibili a individui o gruppi a limitato reddito. In una grande città moderna esso non può prescindere dalla soluzione di alcuni problemi sociali, altrimenti destinati ad assumere incidenza rilevante nel turbamento del generale equilibrio sociale.

Se appena si riflette alle connessioni esistenti fra edilizia popolare e condizioni di abitazione degli anziani, pensionati, ecc., o fra edilizia po. polare e possibilità di insediamento di costituendi nuovi nuclei familiari, si comprenderà l'esigenza di realizzare nei prossimi cinque anni almeno (tale è il balzo irriducibile da calcoli sostanzialmente ottimisti) 30 mila vani di edilizia sovvenzionata. E ciò secondo standards onerosi, non solo edilizi, ma urbanistici e sociali, oggi irrinunciabili.

Il discorso sulla casa si riduce quasi insensibilmente da problematica prevalentemente individuale a problematica comunitaria e sociale. Tale quella degli standards ambientali realizzabili in termini di igiene atmosferica, di corretto rapporto fra insediamenti residenziali e polmoni di verde, di equilibrio fra istituzioni scolastiche e culturali e istituzioni ricreative, di minimi accettabili di quiete privata e pubblica. Questi standards impegnano a realizzarli con crescente energia man mano la vita della città sviluppa le condizioni del loro progressivo aggravarsi.

Forse qualcuno potrà essere portato a sottovalutare taluni problemi elencati in questa esemplificazione.

Fatto sta però che da quella stessa indagine prima citata sulla sensibilità dei cittadini ai problemi dei rumori molesti, dell'inquinamento atmosferico e del verde, indagine che ha visto una partecipazione rilevantissima (il 27,5% degli interpellati ha risposto senza alcun sollecito, per non parlare della valanga di lettere pervenute), è risultato che rispettivamente l'89,6%, l'85% e il 47,5% dei cittadini hanno denunciato disagi per i rumori di ogni genere, per l'inquinamento dell'aria e per la mancanza di verde. Una serie assai numerosa di contatti personali e epistolari con l'elettorato hanno poi concretamente confermato la fondatezza di tali risultanze.

Il quadro generale che ho potuto formarmi in questi quattro anni di contatti sistematici e specifici con i cittadini milanesi mi hanno dato nettissima la sensazione di una diffusa insoddisfazione in ordine all'ambiente cittadino, con negativi riflessi di ordine civico, morale ed economico.

Lo sviluppo urbanistico.

— Questa è solo un'esemplificazione. La quale per giunta domanda si affrontino alcuni altri problemi fondamentali, che vanno da una efficace e rapida attuazione di determinati obiettivi di piano regolatore (parchi, giardini, trasferimenti di industrie), a una maggiore e più efficiente sorveglianza delle attività industriali e domestiche, responsabili principali dell'inquinamento atmosferico e della rumorosità cittadina.

Da una recente esperienza in connessione al mio ufficio di consigliere comunale mi è risultato evidente quanto grave sia il problema delle industrie nocive in Milano e come esso mon possa essere convenientemente risolto se non con una vasta pianificazione territoriale, che disciplini la « fuga » delle industrie da Milano indirizzandole verso le localizzazioni più convenienti dal punto di vista socio-economico generale. Sono emersi fatti e dati sorprendenti che dimostrano il sussistere di una situazione di dannosa promiscuità, sia per i cittadini che per lo stesso sviluppo economico, tra zone residenziali e a verde e installazioni nocive al clima e alla salute : infatti, il 73% delle industrie milanesi già ripetutamente riconosciute nocive o comunque fonti di inconvenienti dalle competenti ripartizioni comunali, sono insediate irregolarmente in terreni che il Piano regolatore destinerebbe a zona residenziale o a verde pubblico.

Così l'esigenza da più parti ventilata di affrontare i problemi edilizi, urbanistici e dell'istruzione pubblica in diretta correlazione con la soluzione di indilazionabili problemi di assortimento e affiatamento dei diversi gruppi sociali (creazione di vere e proprie comunità), impone provvedimenti strutturali quali il decentramento o la creazione di veri e propri centri comunitari. Questi soltanto possono ormai consentire di arrivare a forme di sottocomunità complete dotate di una propria capacità di rappresentanza e di sviluppo democratico. Essi inoltre suggeriscono come indifferibile l'istituzione di centri sociali e di assistenza sociale, tanto più indifferibile in quanto passo preliminare verso modi più solidi e radicati di convivenza umana.

In che misura tutto questo possa trovare soluzione con la creazione di strutture come un assessorato per la periferia, è questione che qui non può essere esaurientemente esaminata. Certo è che l'intero approccio ur-banistico, formativo e assistenziale ai problemi dello sviluppo urbano deve essere strettamente collegato alla necessità di dare vita a nuove unità sociali capaci di un proprio completo equilibrio in una visione organicamente unitaria dello sviluppo cittadino e non solo semplicisticamente centralizzata.

Nè va trascurato, anche perchè attualmente molto carente, il settore della vigilanza urbana, fondamentale per la tutela dell'ambiente umano.

La misura della sua adeguatezza è data dalla fiducia che il vigile trova nel cittadino. Oggi questa fiducia è piuttosto scarsa, come mi hanno dimostrato le continue lettere o segnalazioni pervenutemi come consigliere comunale. Al cittadino non sfugge l'assenza del vigile dove invece dovrebbe essere presente. Non manca inoltre di notare come, in frequentissime occasioni, il vigile non gli risolva, col suo intervento, i piccoli e pur inammissibili soprusi a cui egli soggiace (rumori, traffico, comportamento di individui non raccomandabili, imbrogli di mercato ecc.). Spesso infine il vigile si mostra insensibile o non sollecito a seguire le situazioni fino agli organi, comunali o non, cui spetta provvedere.

Le esigenze dei traffici.

— Ma una città moderna è una città di traffici, di « commercio » di cose e di idee. In ciò assumono importanza particolare tutte le infrastrutture e le attrezzature che consentono il rapido spostamento delle persone nella città e nel territorio interurbano.

Il problema dei trasporti urbani è per Milano uno dei più gravemente aperti : si tratta di rinnovare a fondo la rete dei trasporti, tanto nei percorsi che nei servizi, coordinando la rete in superficie con la sotterranea, l'urbana con l'interurbana. Naturalmente in armonia con le altre esigenze — viabilistiche e urbanistiche — della città. Queste esigenze non si fermano ai confini del Comune e nemmeno a quelli della sua immediata sfera gravitazionale. Le connessioni tra Milano e il resto d'Europa sul piano della compagine viaria, ferroviaria e idroviaria, hanno del resto già proposto ai nostri amministratori complessi problemi organizzativi ed esecutivi di autostrade, aeroporti, trafori, ferrovie, idrovie.

Il problema generale della viabilità sta infatti entrando in una crisi che, non arginata tempestivamente, potrebbe creare gravi situazioni di paralisi nella vita cittadina e regionale. La convergenza su Milano, da tutti i punti cardinali, di grandi vie di comunicazione non è che una delle avvisaglie del fenomeno.

Essa propone una volta di più la generale necessità di una politica di Piano regolatore, urbanistica e di demanio, da attuarsi da parte del Comune in una chiara visione non solo urbana ma anche extra urbana.

Per quanto si debba riconoscere che il Piano regolatore di Milano costituisca il primo esempio di una concezione purtroppo nuova per l'Italia, è tuttavia risaputo come esso presenti gravi scompensi tanto dal punto di vista meramente urbano (nei collegamenti e servizi pubblici di ogni tipo nelle zone residenziali in sviluppo) che interurbano.

Le aree comunali.

— La mancata o solo parziale realizzazione di alcuni criteri fondamentali (spostamento del centro direzionale, creazione di assi attrezzati, di zone industriali, ecc.) ha contribuito ad aggravare una situazione e a dar chiaro risalto alla constatazione che un piano limitato ai confini comunali non può risolvere alcuni problemi fondamentali e macroscopici della stessa città.

Con gli aspetti urbanistici è connesso il demanio comunale, inteso non solo come strumento fondamentale per la concreta esecuzione delle norme di Piano regolatore, ma anche come mezzo fondamentale di finanziamento, senza o con minori oneri per la cittadinanza, di tutte le opere di complessa e costosa realizzazione di cui la città in sviluppo necessita.

Lo sviluppo urbano infatti determina, attraverso la rivalutazione di aree che sono correlative ai costi sostenuti per l'urbanizzazione periferica o le sistemazioni nelle zone centrali, o ancora all'esecuzione di infrastrutture pubbliche quali i trasporti o le opere pubbliche proposte al miglioramento della viabilità, un trasferimento dalla comunità all'individuo di plusvalori patrimoniali il cui riassorbimento può derivare senza attriti o scosse di carattere impositivo solo attraverso un'illuminata e cosciente politica demaniale. Non a torto è stato osservato che, in questo quadro, opere come la Metropolitana avrebbero potuto risultare totalmente finanziate da plusvalenze patrimoniali ottenute con oculate predisposizioni di politica fondiaria.

Il problema, da altri e da me ripetutamente segnalato, ha cominciato ad esser sentito dall'Amministrazione comunale, se di fronte a una spesa di 2,6 miliardi per acquisti di aree nel 1956, nel 1957 si è passati 5,3, nel 1958 a 9,8, per superare i 10 miliardi negli stanziamenti degli ultimi due anni. E' una politica i cui riflessi non sono immediati, ma immancabili. Nell'ultimo quadriennio il Comune ha acquistato 8 milioni di mq. di terreno milanese pari all'incirca all'area racchiusa dalle cerchia dei navigli.

I servizi.

— Un importante settore dell'intervento del Comune sul piano dello sviluppo della città e del benessere dei cittadini è quello di garantire la società da distorsioni di carattere economico che possono incidere sui redditi dei cittadini, e di fornire loro, alle migliori condizioni, tutti i servizi che è in grado di assicurare direttamente.

E' questo un settore nel quale la legge riconosce al Comune un potere di controllo e, a volte, addirittura di privativa. L'esercizio comunale, nella forma giuridica della municipalizzazione di un'azienda come ad esempio AEM, risponde ad uno di questi scopi, specie per la misura in cui sa incidere sul bilancio energetico della città, favorendo i consumi e contenendo il livello dei relativi prezzi.

Alla questione del bilancio energetico è collegata la recente municipalizzazione del servizio del gas, attuata in considerazione dell'accertata possibilità di meglio elevare, in regime di gestione diretta, il basso livello su cui, contrariamente alla tendenza generale, sono fermi da tempo i consumi di gas a Milano.

Scopi in parte analoghi il Comune ha anche in materia annonaria, essendo in potere dell'Annona di contribuire, agendo sul sistema di attrezzature di vario tipo in cui si sostanzia il mercato dei generi di pronta necessità, al miglioramento del potere d'acquisto della comunità tutelandone il bilancio familiare.

L'efficienza amministrativa

— I problemi di una grande città non si esauriscono che in parte nelle soluzioni operative. In realtà, l'organizzazione di un ente pubblico di tali proporzioni comporta una serie di esigenze riconducibili alla sua natura di macchina i cui presupposti di efficienza non potranno ritrovarsi in affermazioni velleitarie ma solo nel superamento di complesse condizioni e vincoli legislativi, organizzativi, operativi, umani. Oltre ad una tradizione di efficienza e correttezza amministrativa, questi presuppongono un minimo di capacità innovativa che medii l'incalzante ritmo del progresso tecnico. Ma a ciò non potrà giovare la critica negativa che le strutture organizzative degli enti pubblici sono costituzionalmente incapaci di assolvere in modo spedito ed efficiente ai crescenti compiti che l'evoluzione tende a far cadere su di loro.

Occorre invece puntare in senso affermativo, rinunciando all'espediente, per ricercarne, assai a monte del punto dove gli inconvenienti si manifestano, le premesse positive. Si scoprirà allora come molte carenze dell'organizzazione amministrativa dipendano dall'essere gli enti pubblici ancora caratterizzati da dimensionamenti, regolamentazioni e prassi mutuate da epoche in cui assai meno complessa era la problematica operativa.

Per l'Amministrazione comunale di Milano, è indubitabile come l'attuale struttura amministrativa centralizzata sia sovraccarica di compiti e di responsabilità non assolvibili, se non in modo sommario e affrettato; mentre gli organi centrali, Sindaco, Giunta e Consiglio, non riescono che in scarsa misura a realizzare quella comunicazione e quei contatti fra amministrati e amministratori che dovrebbero essere nell'essenza di un'amministrazione democratica.

Il problema di accrescere la funzionalità degli organi assembleari tutt'ora esistenti, tipico fra questi il Consiglio comunale, mediante l'instaurazione di prassi come ad esempio quella delle Commissioni consiliari proponenti, referenti e in qualche caso anche deliberanti, non sembra infatti ulteriormente differibile, specie in considerazione del fatto che poco o nulla dell'attuale legislazione appare sostanzialmente ostarvi.

Il decentramento.

— Allo stesso modo, la creazione di sottoripartizioni amministrative del tipo degli « arrondissements » parigini o dei « boroughs » o « cities » inglesi, o le stesse strutture storiche dei sestieri o delle contrade degli antichi comuni italiani che ancora oggi mantengono viva a volte la loro carica comunitaria, dovrebbero essere attentamente esaminate nella loro problematica e nella loro funzionalità. Ciò in considerazione dell'indiscussa capacità di determinare un contributo di fondo alla soluzione di molti problemi che travagliano le amministrazioni delle grandi città.

Ma se la struttura interna dei grandi comuni italiani appare troppo accentrata e scarsamente articolata (in Gran Bretagna si sono ristudiate tutte le circoscrizioni contenendole in unità aventi tra i sessantamila e duecentomila abitanti), non meno carente ne è la burocrazia, spesso anche rispetto agli stessi compiti tradizionali.

Il problema sul modo di accrescere la funzionalità dell'amministrazione della grande città si pone in primo Musso come problema di formazione di una classe dirigente burocratica all altezza dei gravi compiti. Pur riconoscendo che alcune amministrazioni dispongono ancora di un nucleo di funzionari preparati, informati e probi, bisogna ugualmente rilevare che gli attuali sistemi di reclutamento, di carriere e di retribuzione dei funzionari sono sostanzialmente inadeguati e superati.

Una formazione moderna, orientata in senso produttivistico più che giuridico, del personale comunale, è fondamentale per una ricerca di effi-cienza dell'Amministrazione. Non meno fondamentale è la riforma di tutto il settore dell'amministrazione del personale in seno all'ente pubblico, dai sistemi di reclutamento, alla suddivisione e coordinamento dei compiti, nonchè formazione, promozioni, retribuzioni, relazioni umane e pubbliche.

Gli uomini.

— A tutto questo deve aggiungersi, fondamentale, la disponibilità di una classe dirigente amministrativo-politica, capace di esprimere attraverso le designazioni e la selezione democratica ed elettiva eccellenti amministratori.

Un Consiglio comunale di grande città nel tentare di risolvere gli svariatissimi problemi di natura pubblica che ne accompagnano la vita e lo sviluppo non deve soltanto additare i modi per contemperare i diversi interessi — naturalmente anche di tipo ideale —, di ciascun gruppo o persona rappresentati. Se capace di chiara visione d'insieme, esso avrebbe modo di precedere i problemi, anzichè doverli rincorrere man mano si presentano.

In questo caso un'amministrazione democratica, se potrà rivelarsi favorita nell'assolvere i compiti del ricercare, interpretare e soddisfare nei limiti del possibile e al minor costo le attese e le istanze della popolazione quali si manifestano attraverso i normali canali delle rappresentanze, tale sarà soltanto nella misura in cui saprà essere l'espressione di una classe dirigente sensibile, capace, responsabile e decisa. Nè è il caso di porsi in questa sede il quesito pur urgente se rispondano a queste esigenze il metodo e la tecnica di selezione attualmente in atto nel nostro sistema elettorale. Ogni forma di democrazia non può infatti prescindere dalla necessità che coloro ai quali le capacità e le esigenze delle attività extra-politiche, in qualunque campo e modo esercitate, hanno conferito di fatto una parte direttiva (dalla professione all'industria, al commercio, all'insegnamento, alla cultura, al sindacato ecc.) prendano cura della cosa pubblica.

E ciò nella coscienza che non vi è forma di vita o attività privata che non trovi condizionamento spesso determinante nel modo in cui viene gestita la cosa pubblica.

Nè può giustificare l'assenteismo la diffusa lamentela che troppo spesso la cosa pubblica presenta disfunzioni o insufficienze tali da far dubitare sulla possibilità di determinare nel suo ambito null'altro che una parte troppo trascurabile della complessa vita di una moderna città. Il problema dell'inefficienza dell'azione amministrativa spesso addotta a pretesto per non impegnarsi, non è infatti pregiudiziale o alternativa ri-spetto al problema della scelta delle soluzioni migliori, ma deve essere esso stesso obiettivo della attività pubblica.

Indiscutibile è infatti la considerazione che i fini perseguiti da un'amministrazione non possono essere giudicati indipendentemente dal come e a che costi vengono perseguiti; così come gli stessi obiettivi non potranno non determinare il problema dei mezzi.

Ne deriva che soltanto quando le condizioni di efficienza della macchina amministrativa pubblica sono tali da assicurare un impiego di mezzi sempre scarsi in condizione di tollerabile profittabilità, sarà possibile porsi l'obiettivo di soddisfare nuovi fini pubblici o sociali senza dare luogo a sprechi; in altri termini che proprio laddove una classe dirigente amministrativa si pone con sensibilità il drammatico problema di accrescere la capacità dell'ente pubblico di venire incontro ai sempre più dilatati compiti di una società moderna, proprio là, sempre più vivo e con priorità assoluta deve porsi il problema di un massimo di efficienza e competenza.

Certamente, molte delle carenze dell'organizzazione amministrativa dipendono dalla inadeguata legislazione attuale, e soprattutto dalla mancata attuazione dei dettami costituzionali.

Il programmare.

— E' però anche sul piano del metodo amministrativo, particolarmente in materia di programmazione delle varie attività, che Milano non si è ancora portata al livello di una amministrazione progredita.

Gran parte delle metropoli occidentali pianificano a dieci, vent'anni il loro sviluppo, secondo schemi coordinati, nei quali ogni settore è condizionato ad ogni altro. Al contrario, noi siamo ancora all'assurdo della pianificazione annuale del bilancio. E chiamarla pianificazione è perfino discutibile, oltre che per il lasso di tempo, per il metodo e gli scopi. Così dicasi di quella eminentemente tecnica e purtroppo passiva di un Piano regolatore, di tipo tradizionale qual'è il nostro.

L'esigenza di organi di studio che consentano di avere una costante e approfondita conoscenza dell'organismo sociale della comunità cittadina, ai fini dell'azione di metodi pianificatori-programmatici a lungo termine nell'amministrazione cittadina, diventa in tale quadro esigenza improrogabile.

Qualcosa, peraltro, è in atto. Da un anno il Comune si è costituito un Ufficio studi e organizzazione, che sta portando a termine studi al fine di una razionalizzazione e di un decentramento organico dei servizi, criteri di formazione del personale direttivo, organizzazione, ecc.

Ma occorre molto di più, e in nuove direzioni.

Nè è pensabile, in alternativa al discorso sulle esigenze di qualche forma di pianificazione più impegnativa ed oculata, un eventuale accenno al contenuto di programma che, nell'attuale prassi amministrativa di un Comune, è attribuibile al «bilancio». Nè questo, nè il cosidetto « Piano regolatore », possono infatti ritenersi in alcun modo sostitutivi di una forma più impegnativa di programmazione a quattro o cinque anni. Pur essendo infatti il bilancio un documento fondamentale per fare il punto della situazione per i suoi aspetti di politica sociale, grazie all'entità dell'azione redistributiva del reddito dei cittadini che nella realtà e nei rapporti tra le cifre esso chiaramente rivela e soprattutto per la sua capacità di sottoporre al severo vaglio delle cifre i programmi pluriennali e di attuarne le eventuali modifiche, esso non può che riassumere una situazione statica scarsamente espressiva di precise politiche amministrative.

Per quanto riguarda infine la spesa, dopo aver ricordato che essa esprime l'atto conclusivo, la vera e propria prova dei conti annuali dei programmi coordinati e di quelli a lungo termine di un'Amministrazione, è necessario raccomandare che l'aspetto programmatorio venga sempre più accentuato e non lasciato in sottordine rispetto a quello istituzionale della limitazione e autorizzazione della spesa; che cioè l'aspetto previsionale assuma tutto il suo contenuto critico di fronte alla deprecabile possibilità di un riporto a nuovo di cifre vecchie e di loro modifiche non sufficiente mente documentate.

Le tabelle, presentate quest'anno per la prima volta, in appendice al preventivo, e recanti la riclassificazione della spesa secondo i settori d'intervento e secondo le finalità, indicano che si è imboccata la strada buona. Ciò secondo criteri che anche chi scrive aveva avuto ripetute occasioni di sostenere e seguire (²) negli annuali interventi alla discussione.

Il bilancio.

— La politica di bilancio assume infatti particolare importanza politico-sociale in quanto sede in cui il Comune attua, sia pure entro margini più contenuti di quelli dello Stato (si pensi al fatto che la progressività dell'imposta di famiglia non può oltrepassare il 12% del reddito imponibile), una redistribuzione di redditi che ha nella manovra dei cespiti d'entrata uno dei suoi strumenti.

Da questo aspetto, per Milano le cifre dimostrano adeguatamente il miglioramento del rapporto tra imposte dirette e indirette, conseguito con un passaggio della percentuale delle imposte dirette d'imposizione autonoma dal 41,3 nel 1956 al 46,2 nel 1959, e correlativamente delle imposte indirette dal 58,7 al 53,3.

Lasciando invariate le aliquote e innalzando la cifra di reddito esente da 360 mila a 400 mila lire, ciò è stato possibile ottenere ampliando il gettito grazie a un'efficiente lotta contro le evasioni che ha unito i suoi effetti a quelli della tendenza naturale.

Il bilancio di Milano, con i suoi 125 miliardi di entrate e spese, è il più grosso bilancio di enti territoriali dopo quello dello Stato. E' noto che esso rispetta ormai da anni il pareggio richiesto dalla legge tra entrata e uscita ricorrenti.

Purtroppo, però, la legittima soddisfazione che questo fatto dà, specie in considerazione della situazione non rosea di molti Comuni italiani, è infirmata dall'indebitamento sempre crescente che seppure non giunto in vicinanza di limiti veramente preoccupanti stante le immense risorse finanziarie della nostra città, non può tuttavia non essere preso in attenta considerazione.

Tale situazione, che fa prevedere nel 1960 l'ammontare degli oneri per il servizio mutui in ben 16.3 miliardi e un quasi esaurimento del margine di indebitamento consentito dalla legge, è purtroppo determinata in massima parte dalle carenze legislative sulla finanza locale e, in particolare, dalla pratica inesistenza di cespiti d'entrata corrispondenti alle spese straordinarie che il Comune deve sostenere per lo sviluppo cittadino.

Queste condizioni, seppure non sfavorevoli, non esimono ma domandano all'Amministrazione comunale, sempre più attente analisi degli investimenti, onde valutare il possibile apporto futuro diretto o indiretto alle entrate comunali, tramite il contributo all'elevazione del reddito, che certe opere possono dare impostandone la relativa attuazione. Inoltre il Comune dovrà farsi parte attiva con tutto il suo peso e in spirito di solidarietà con gli altri Comuni per promuovere l'adozione dei necessari provvedimenti legislativi in sede parlamentare.

Il che potrà farsi soltanto nel quadro di una chiara e esplicita programmazione pluriennale, in grado di evitare il pericolo che pur si profila, di toccare quei limiti oltre i quali la legge non consente di assumere nuovi mutui in condizioni di autonomia finanziaria, determinando strozzature anche gravissime allo sviluppo futuro della nostra città. Indiscriminatezza a cui fanno eccezione per espresse disposizioni legislative — è il caso di ri-cordarlo, dopo le molte e non sempre cognite polemiche sulla municipalizzazione del gas — i mutui per l'assunzione di pubblici servizi, proprio in quanto trattasi di investimenti direttamente e immediatamente redditivi.

Il punto di partenza è sempre il giudizio sulla consistenza dei problemi e sulle loro priorità : il problema delle relative scelte. In altri termini, il problema politico. Senonché il tipo della disamina e soprattutto la sede dov'essa si svolge impongono di fare il punto.

Molti, coscienti delle indiscutibili connessioni esistenti, specie al livello della grande città, fra tecnica, amministrazione e politica, se ne rammaricheranno. Ma qualcuno non mancherà di compiacersene : qualcuno cui troppo dimenticato appare nella nostra realtà quotidiana il detto di Foscolo : « A rifare l'Italia bisogna disfare le sette » (³).

Piero Bassetti Milano, Università Bocconi.