CAMERA DEI DEPUTATI N. 240

PROPOSTA DI LEGGE
D'INIZIATIVA DEI DEPUTATI
SALVI, BASSETTI, BERNARDI, BONALUMI
Presentata il

Nuove disposizioni sulla cooperazione
con i Paesi in via di sviluppo

ONOREVOLI COLLEGHI ! — La prima metà del secondo decennio per lo sviluppo indetto dalle Nazioni Unite è ormai trascorsa e ci si accinge a trarne le prime valutazioni, come è già accaduto in occasione della VII sessione straordinaria dell'Assemblea generale dell'ONUOrganizzazione delle Nazioni Unite dedicata a tale scopo. La verifica in sede internazionale è una occasione in più per rivedere la qualità, la quantità e i modi dello sforzo che ciascun paese realizza a favore dei paesi in via di sviluppo. Il problema è di ampia portata perché coinvolge aspetti quali la migliore utilizzazione delle materie prime, il commercio internazionale, la cooperazione industriale, la drammatica questione alimentare, il trasferimento delle risorse reali. Ormai c'è una coscienza consolidata che qualcosa d'importante sia cambiato nelle relazioni fra il mondo sviluppato e i paesi in via di sviluppo, che un nuovo rapporto di forze sia maturato o stia maturando fra i due settori che sinteticamente si definiscono Nord e Sud del mondo.

Ciò che è cambiato è noto. Il mondo industrializzato ha scoperto di aver bisogno dei paesi in via di sviluppo almeno quanto i paesi in via di sviluppo hanno bisogno del mondo sviluppato. Bisogno economico e politico allo stesso tempe. La crisi energetica ha catalizzato questa presa di coscienza in modo brusco ma efficace, denunciando la complessità di certi vincoli di interdipendenza fra le nazioni e indicando d'altra parte in modo esemplare i pericoli che si profilano se le rivendicazioni dei popoli sottosviluppati assumeranno l'aspetto di una sfida.

Di fronte alla complessità e alla vastità dei problemi che assillano il Terzo mondoi Paesi in via di sviluppo l'Italia non ha mai brillato per particolare sensibilità, un po' per gli squilibri interni da risolvere, un po' per la scarsa attenzione che hanno mostrato per questi probiemi il mondo politico, la stampa, l'opinione pubblica. Eppure il 25 per cento delle nostre importazioni proviene da quei paesi e la parte di deficit della nostra bilancia commerciale dovuta ai traffici con il Terzo mondoi Paesi in via di sviluppo è aumentata negli ultimi tre anni del 272 per cento. Perfino i nostri capitali raggiungono in quote sempre più consistenti i paesi in via di sviluppo, e se volessimo tener conto di alcune recenti valutazioni della Banca d'Italia sulle impre [2-3-4] se multinazionali a base italiana, gli investimenti italiani nei paesi in via di sviluppo raggiungerebbero addirittura il 40 per cento.

Malgrado l'insensibilità di cui si diceva, l'Italia ha di fatto una rete sempre più vasta di rapporti con i paesi in via di sviluppo. Come membro della Comunità economica europea, l'Italia ha firmato il a Lomé un trattato con 46 paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico stabilendo un ampio rapporto di associazione tra l'Europa da una parte e una porzione consistente del cosiddetto Terzo mondodei Paesi in via di sviluppo dall'altra. Gli accordi sono sostanziali e impegnativi. Essi comportano il libero accesso ai nostri mercati dei prodotti dei paesi ACPGruppo degli stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, un fondo di stabilizzazione dei prezzi dei prodotti di base, un fondo di 3 miliardi di dollari per lo sviluppo e numerose previsioni per favorire la cooperazione industriale e tecnologica.

Quando si confronta il contributo italiano ai paesi in via di sviluppo con quello degli altri paesi donatori, le conclusioni sono sconfortanti. L'Italia è l'ultima in tutto o quasi, quale che sia il parametro considerato. L'Italia inoltre, a differenza degli altri paesi che costituiscono il Comitato aiuto allo sviluppo (CAD), all'interno dell'OCDEOrganisation de coopération et de développement économiques, non dispone di una struttura a sé per la gestione della politica dell'aiuto. Di più, l'Italia manca di una vera politica dell'aiuto, se si fa astrazione per l'assistenza tecnica, che ha quanto meno un preciso quadro legislativo nella legge n. 1222 del che disciplina appunto questo settore. È utile ricordare che se l'Italia impiega ogni anno circa 400 miliardi di lire come contributo ai paesi in via di sviluppo, il cosiddetto « aiuto », di cui almeno 100 direttamente attraverso la pubblica amministrazione (cosiddetto aiuto pubblico), il settore della cooperazione tecnica contribuisce solo con il 3 per cento al flusso globale.

Nonostante la legge n. 1222 sia di fatto l'unico elemento positivo nel quadro generale della politica dell'aiuto ai paesi in via di sviluppo, lo stesso Parlamento non ha potuto fare a meno di rilevare, anche in termini duri. l'inadeguatezza del suo intervento auspicandone un rinnovamento radicale. In particolare, si è osservato che dovrebbero essere meglio rispettati i criteri di tempestività, di coordinamento, di razionalizzazione, affinché l'aiuto che versa l'Italia, quale che sia l'importo totale, possa essere di utilità maggiore per i paesi assistiti e, secondo una non iniqua legge del ristorno, anche per la stessa economia italiana.

È alla luce di queste considerazioni che si ritiene di proporre la costituzione di una Agenzia per la cooperazione con i paesi in via di sviluppo. Lo schema di legge proposto ricalca per molti aspetti la legge n. 1222 del in modo da lenere in vita per quanto possibile uno strumento che si è rivelato di notevole interesse.

Tutto quello che abbiamo fin qui detto testimonia, sul piano della gestione, della necessità di un organismo capace di superare la frammentarielà e la disorganizzazione che regna nel seltore dell'aiuto italiano e che sia in grado di compiere una reale opera di coordinamento e di impulso. E necessario però soltolineare che tullo quanto è stato rilevato testimonia altresi del fatto che qualsiasi soluzione sul piano degli strumenti può essere frustrata se continua a mancare una politica. Per quanto si responsabilizzino le strutture, ci sono obbiettivi che possono essere stabiliti solo a livello polilico: quali paesi preferire, verso quali settori avviarsi, quali progetti privilegiare.

Nella speranza che l'opinione pubblica si sensibilizzi su questo argomento, spingendo il Governo a prendere delle risoluzioni, e nel richiamare quanto è stato già detto più sopra sulla medesima questione, sembra opportuno spingere ora le nostre riflessioni sui problemi che pone la costituzione di un'agenzia, avulo riguardo delle strutture attuali e dei rinnovamenti occorsi nelle relazioni economiche internazionali durante gli ultimi anni.

È utile cominciare gettando uno sguardo su questi mutamenti, perché sono stati profondi e un rinnovamento delle strutture italiane che non ne tenesse conto rischie rebbe di essere già superato dai fatti. In effetti, il quadro che oggi offre il Terzo mondoi Paesi in via di sviluppo è assai più diversificato di quello che si conosceva pochi anni fa. In particolare va ricordato che il concetto di Terzo mondo è superato dall'apparizione di categorie diverse di paesi in via di sviluppo: la prima calegoria comprende i paesi con un reddito inferiore ai 220 dollari all'anno, con caratteristiche strutturali molto sfavorevoli; la seconda calegoria comprende i paesi la cui economia consiste in uno o pochi prodotti di base, con un reddito oscillante fra i 220 e i 530 dollari all'an no pro capite; la terza categoria comprende i paesi in via di industrializzazione, con un reddito di poco inferiore ai 1.000 dollari pro capile; una quarta categoria comprende un gruppo limitato, 10-15 milioni di abitanti, con un reddito pro capite fino a 10.000 dollari all'anno, dotati di grandi risorse ma spesso privi di territori coltivabili e scarsamente popolati.

Come è chiaro, mentre per i paesi della prima categoria si tratta soprattutto di addivenire a forme di assistenza e di trasferimento di risorse, per i paesi della terza e quarta calegoria sopraltutto è ipotizzabile una forma di cooperazione industriale e tecnica già abbastanza avanzate. I paesi della quarta categoria, anzi, possono addirittura figurare come « donatori » per quanto riguarda l'aiuto finanziario.

Questo panorama è cosi diversificato e pone una richiesta di strumenti cosi diversi che potrebbe suggerire l'ipotesi che ciò di cui c'è bisogno è un miglior coordinamento sulla base di alcune scelte politiche chiare. Questa risposta sarebbe superficiale, sia perché gli strumenti esistenti si sono già rivelali inadatti in questi ultimi due anni al tipo e al ritmo delle richieste che sono emerse a seguito dei mutamenti che hanno investito i paesi meno sviluppati, sia perché di fronte a tale diversificazione ciò che serve è innanzitutto uno strumento tecnico capace di tenere continuamente il problema sotto osservazione e di adattarsi con elasticità al mutare delle situazioni e delle domande.

Ciò non comporta un'istituzione che abbia tutti gli strumenti, dalla cooperazione tecnica ai crediti all'esportazione, ma che piuttosto si occupi statutariamente del problema dello sviluppo (e non di questo problema assieme ad altri), che abbia gli strumenti essenziali per intervenire organicamente su un'area coerente di situazioni e che abbia la capacilà di coordinare le altre azioni, comprese quelle private e soprattutto quelle parapubbliche, nonché di informare e di essere informata.

Inoltre essa dovrebbe avere a disposizione strumenti propri che le consentano di intervenire in senso liberale. Ciò significa che dovrebbe avere a propria disposizione un fondo di dotazione stanziato sul bilancio dello Stato del quale servirsi per effettuare prestiti a condizioni di favore. Questa disponibilità consentirebbe di utilizzare la n. 131, senza intralci, per i fini di sostegno e penetrazione che le sono propri, nei confronti di quei paesi meno sviluppati ma che hanno possibilità finanziaria. Come abbiamo visto la situazione odierna, facendo di ogni erba un fascio, crea notevoli difficoltà. Un altro passo nella stessa direzione potrebbe essere quello di poter svolgere anche alcune operazioni di crediti all'esportazione, perché l'esecuzione di certi progetti potrebbe prevederne la necessità. Per questo ultimo scopo non sarebbe necessario costituire nuovi fondi ma sarebbe sufficiente prevedere la possibilità di utilizzare il sistema di assicurazione-crediti come per gli altri operatori. Tutto ciò richiede lo stanziamento di fondi aggiuntivi con un loro sistema di assicurazione, ma non la modifica della legge n. 131.

In terzo luogo c'è il compito più difficile, che è quello di consentire poteri e funzioni di coordinamento adeguati. Un'istituzione cui fossero trasferiti la cooperazione tecnica bilaterale e quella multilaterale nonché i prestiti di sviluppo e il compito di assicurare l'aiuto alimentare e quello di emergenza, sarebbe in grado di occuparsi pienamente del primo gruppo di paesi che abbiamo prima menzionato, ma solo parzialmente degli altri. Degli altri gruppi in effetti finirebbe per occuparsene, sia per via della cooperazione tecnica, sia per eventuali operazioni di aiuto in termini liberi che potrebbero rendersi necessarie. Ma per occuparsi del problema dello sviluppo in termini adeguati dovrebbe avere appunto dei poteri effettivi di coordinamento. La soluzione minima è a questo proposito quella di inserire un rappresentante di tale istituzione nei diversi organi che amministrano gli interventi e viceversa ma si può fare di più. Essa deve poter concludere agilmente contratti e convenzioni con enti e imprese italiane e disporre del necessario personale specializzato per svolgere i necessari controlli e valutazioni. D'altra parte deve essere informata e poter informare e per far ciò deve disporre di un comitato consultivo che svolga la sua opera di mediazione a stretto contatto con centri operativi destinati alla concezione e alla scelta tecnica degli interventi. Infine essa deve poter operare sfruttando una delle caratteristiche del quarto gruppo di paesi che abbiamo considerato, cioè deve poter effettuare con questi paesi operazioni di triangolazione dell'aiuto.

Tutte queste riflessioni confluiscono in conclusione in un'ipotesi: quella di suscitare nell'ambito della normativa vigente, attraverso opportune modifiche, una struttura nuova in grado di sviluppare tutte le iniziative descritte, tenendo conto che assieme all'agilità e alla competenza operativa debbono essere escogitate precise garanzie in ordine alla necessità: di stabilire un legame intimo e immediato con il Ministero degli esteri; di operare un controllo rigoroso politico e amministrativo; di scongiurare che il tutto si possa trasformare, per inerzia o pressione, in una entità inutile o in uno strumento adoperabile a fini diversi da quelli istituzionali.

La verifica che tutto ciò sia possibile è contenuta appunto nella proposta di legge che si acclude, dove questa nuova struttura, denominata « Agenzia per lo sviluppo », viene enucleata quasi naturalmente attraverso alcune modifiche della legge n. 1222 (non va dimenticata l'originaria ispirazione di questa legge).

L'esperimento a nostro avviso è pienamente positivo. Se non altro esso potrebbe essere utilizzato per materializzare le critiche dei sostenitori e degli oppositori e confrontarne l'effettiva portata sulla base di un volto preciso e definito: un disegno concreto di agenzia, che una volta rivelatosi, anche sotto forma di ipotesi, potrebbe alla fine apparire assai più naturale, logico, e convincente di quanto molti non avessero prima creduto.

Prima di passare, tuttavia, alla lettura della proposta di legge che modifica la legge n. 1222, non ci sembra inutile esporre qualche indicatore finanziario che — sempre in via di ipotesi — potrebbe dare un'idea della dimensione della nuova struttura.

Nel , l'anno più significativo del periodo , l'aiuto pubblico (ODAOfficial development assistance) italiano era di 112 miliardi di lire (0,14 per cento del PNLProdotto Nazionale Lordo) (1) cosi suddiviso:

Doni 8 miliardi
Cooperazione tecnica 16 »
Prestiti 45 »
Aiuto multilaterale 43 »
112 miliardi

Il PNLProdotto Nazionale Lordo del è stato di lire 111.809 miliardi (2). Calcolando un incremento minimo di almeno il 2 per cento l'anno (siamo costretti a non tener conto dell'inflazione), si potrebbe supporre un'ipotesi di aumento della quota di ODAOfficial development assistance del PNLProdotto Nazionale Lordo secondo la seguente tabella:

Miliardi di lire — ODAOfficial development assistance (3)
209 261 314 370
(0,18%)
PNLProdotto Nazionale Lordo
(0,22%)
PNLProdotto Nazionale Lordo
(0,26%)
PNLProdotto Nazionale Lordo
(0,30%)
PNLProdotto Nazionale Lordo

Se le nuove strutture potessero avviarsi nel , la loro dotazione finanziaria potrebbe non superare i 210 miliardi. Ciò significherebbe che nessuno sforzo supplementare in più dovrebbe essere fatto, tranne quello naturalmente di aumentare progressivamente l'ODAOfficial development assistance fino allo 0,30 per cento del PNLProdotto Nazionale Lordo (4) e di far gravare sul bilancio la quota concernente i prestiti.

Come si vede non si tratta di un impegno impossibile; al contrario si dimostra che il problema è tutto in una diversa concezione della gestione: più razionale, unitaria e coordinata.


Dopo quanto già esposto sull'auspicata riforma della cooperazione italiana con paesi in via di sviluppo (nei suoi aspetti non solo giuridici, ma economici, strutturali ed operativi), un'ulteriore illustrazione dello strumento legislativo atto a realizzarla nei tempi brevi che l'attuale situazione comporterebbe, può apparire anche superflua.

Tuttavia, essendo doveroso fornire la ragione giustificativa di talune delle soluzioni adottate (nella parte, almeno, in cui esse contengono novazioni e integrazioni normative di natura sostanziale, rispetto alla legge-base , n. 1222), non è inopportuno aggiungere brevi cenni illustrativi dello schema a tal fine predisposto.

Di tali novazioni e integrazioni, lo stesso nomen iuris preposto allo schema dà l'esatta misura.

Pur conservandosi in esso, infatti, il sostantivo « cooperazione » (che esprime in modo icastico la pariteticità delle parti cooperanti, la sostanziale sinallagmaticità del rapporto, e la necessaria convergenza di prestazioni attive anche da parte dei paesi chiamati a collaborare al proprio stesso sviluppo), è per contro definitivamente abbandonata l'aggettivazione « tecnica » (che delimita nettamente l'oggetto e la portata dell'impegno cooperazionistico), per affrontare e risolvere nella sua globalità il problema dell'aiuto allo sviluppo. Un problema che la dottrina specialistica ha immaginosamente paragonato ad un poliedro dalle molte facce, la cui soluzione non può nemmeno essere tentata senza una programmazione organica altrettanto globale.

Il preciso significato della nuova impostazione legislativa è reso evidente nell'articolo 1 dello schema, in cui si contiene la definizione giuridica della cooperazione italiana con i paesi in via di sviluppo. Tale definizione include in un unico contesto tutte le iniziative « pubbliche e private » dirette a favorire e a promuovere lo sviluppo dei predetti paesi « in ogni settore » di civile attività, e ne pone al tempo stesso in rilievo sia il movente immediato (il « congiunto interesse » delle « parti cooperanti »), sia l'obiettivo finale: l'avvento cioè di quella vera « pace » e di quella piena « giustizia fra le nazioni » che l'articolo 11 della Costituzione pone fra le supreme finalità della Repubblica italiana.

E affinché la natura onnicomprensiva del nuovo concetto di « cooperazione » sia resa ancor più chiara ed esplicita, lo stesso articolo 1 riassume (secondo comma) i quattro principali aspetti, o per meglio dire le fondamentali direzioni, nelle quali la cooperazione italiana può concretamente attuarsi:

  • in primo luogo, lo « studio », la « programmazione » e l'« esecuzione » dei « progetti di sviluppo » nei diversi settori (tecnico, culturale, economico, sanitario e sociale), nei quali si è fino ad oggi espletata la cooperazione tecnica ai sensi della vigente legge n. 1222 del ;
  • aggiuntivamente, la promozione di « relazioni finanziarie a condizioni agevolate » (prestiti, garanzie, incentivi economici, ecc.), atte a consentire l'attuazione concreta dei progetti e delle iniziative concordate, di maggior rilievo « ai fini dello sviluppo », e costituenti l'indispensabile completamento della prima attività;
  • in terza — ma non ultima — ipotesi, l'adozione di quegli interventi di « assistenza alle popolazioni colpite da calamità, carestie ed altre situazioni di emergenza » nei quali si esprime la più immediata solidarietà con i paesi meno favoriti, e che la legislazione di molti Stati (a differenza di quella italiana) espressamente include nell'ambito generale della cooperazione;
  • parallelamente e congiuntamente alle forme cooperazionistiche sopra indicate, la « intensificazione dei contatti umani tra cittadini delle due parti » (senza cui gli atti ideali della cooperazione sarebbero resi vani e inoperanti), realizzabile sia mediante l'invio di personale italiano per attività lavorative a diretto contatto con le popolazioni dei paesi assistiti, sia mediante l'accoglimento dei cittadini dei predetti paesi in scuole, accademie, corsi ed altre istituzioni italiane, sia — e soprattutto — mediante la generosa azione del volontariato civile, aperto a tutti i cittadini italiani senza distinzione di sesso, di età e di condizione;
  • il tutto, con l'eventuale aggiunta di « ogni altra utile iniziativa » che, sulla base di nuove intese con i paesi interessati e secondo le sopravvenute esigenze di un mondo in rapida evoluzione, appaia realizzabile agli stessi fini.

L'ultimo comma del predetto articolo 1, nell'uniformare le iniziative italiane ai vigenti accordi internazionali, opportunamente giustappone le forme bilaterali e le forme multilaterali di cooperazione, in una visione organica e completa della vasta materia.

Ai fini del perseguimento degli obiettivi della cooperazione italiana con i paesi in via di sviluppo (la cui alta direzione è tradizionalmente affidata al Ministero degli affari esteri), due fondamentali esigenze appaiono manifeste: quella di un agile, pronto ed efficace strumento di realizzazione delle iniziative pubbliche, e quella di un idoneo sistema di coordinamento tra le iniziative pubbliche e private.

Ad entrambe le esigenze il proposto schema legislativo offre adeguata risposta: istituendo da un lato una nuova moderna agenzia di Stato per la cooperazione allo sviluppo, ed utilizzando dall'altro — con opportuni adattamenti — il già esistente comitato consultivo misto.

L'articolo 3 dello schema conserva infatti nella sua strutturazione essenziale il predetto comitato consultivo, nel quale sono organicamente rappresentate — sotto la presidenza del Ministro degli affari esteri o del sottosegretario di Stato da lui delegato — tutte le componenti pubbliche e private dello sforzo italiano nei paesi emergenti. Ma ad esso contestualmente apporta quattro rilevanti innovazioni:

  • l'inclusione nel comitato di due membri « di diritto », in rappresentanza dell'agenzia per la cooperazione allo sviluppo;
  • l'inclusione di 3 deputati e 3 senatori designati rispettivamente dal Presidente della Camera dei deputati e dal Presidente del Senato;
  • l'attribuzione al comitato in seduta plenaria della potestà di proporre i nominativi per la scelta ministeriale del segretario generale dell'agenzia, che è anche segretario del comitato consultivo misto;
  • l'articolazione, infine, del comitato, anziché nelle due attuali sezioni a competenza limitata, in una pluralità di sezioni (per la programmazione, per la formazione professionale, per l'agricoltura, l'industria e il commercio, per il credito, per la sanità, per il volontariato civile, ecc.), che mentre consentono la piena utilizzazione e valorizzazione delle competenze dei membri del comitato, affiancano gli omologhi dipartimenti, servizi ed uffici dell'agenzia, per collaborare consultivamente alle loro attività funzionali.

Viene, in tal modo, operato un organico raccordo tra i due istituti, nei quali è destinata a realizzarsi la nuova struttura della cooperazione italiana per lo sviluppo.

Di fondamentale importanza sono le successive disposizioni degli articoli 5-14 dello schema (modificative degli articoli 5-8 della legge n. 1222 del ), che istituiscono l'Agenzia per la cooperazione allo sviluppo, determinandone compiutamente le funzioni, l'organizzazione e i mezzi d'azione.

È superfluo ripetere in questa breve relazione le molte e gravi ragioni giustificative della novalio iuris, che risolvendo positivamente il dilemma postosi dallo stesso legislatore nella prima elaborazione della citata legge , n. 1222 (vedasi relazione ministeriale al Parlamento sul disegno di legge) mira ad assicurare la snellezza, l'efficienza e l'operatività proprie dell'ente specializzato, e al tempo stesso la stretta correlazione fra il « momento decisionale » e quello « esecutivo », che caratterizza l'amministrazione diretta.

Ciò che conta ora sottolineare è la convergenza di questo duplice requisito, garantita dalla specialissima natura giuridica del nuove ente pubblico. Il quale non è affatto inquadrabile nel classico schema dell'ente autarchico (perseguente autonomamente proprie finalità coincidenti con talune delle finalità generali dello Stato, ma separato e distinto da esso), bensi nel nuovo e più moderno schema dell'ente-organo: di un istituto, cioè, la cui natura intrinsecamente è per espressa volontà di legge resa compatibile col possesso di una personalità giuridica, ad esso conferita dall'ente sovrano — lo Stato — in funzione meramente strumentale (cioè come mezzo al fine del migliore e più efficace espletamento di determinate funzioni pubbliche), e come tale operante nel più stretto collegamento con supremi organi decisionali dello Stato medesimo.

Un tale istituto, che è ampiamente accolto nella legislazione di numerosi paesi sia europei che transoceanici, e che è ben noto alla stessa dottrina pubblicistica italiana, non ha avuto finora che rare e sporadiche applicazioni nel diritto positivo interno. Uno dei più tipici esempi in tal senso può ravvisarsi nell'articolo 1 del decreto legislativo luogotenenziale , n. 3282, che riordinando il Consiglio nazionale delle ricerche lo qualifica testualmente « Organo dello Stato, dotato di personalità giuridica e gestione autonoma », e lo pone alle « dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri ». Esempi analoghi potrebbero ravvisarsi in taluni enti-organo del Ministero del commercio con l'estero (quali l'ICEAgenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane e l'UIC) e del Ministero del bilancio e della programmazione (ISPEIstituto di studi per la programmazione economica); nonché in vari enti di gestione del Ministero delle partecipazioni statali (IRIIstituto per la Ricostruzione Industriale, ENIEnte nazionale idrocarburi, EGAMEnte gestione attività minerarie, ecc.). Il tutto, con formulazioni normative più o meno precise o sfumate, ma aventi tutte in comune questa sostanziale caratteristica: lo stretto collegamento direzionale fra lo Stato e l'ente-organo dello Stato.

Tale stretto collegamento è — nella specie — assicurato non soltanto sul piano formale, attraverso l'espressa sottoposizione dell'agenzia « alle dirette dipendenze del Ministro degli affari esteri » (articolo 5 dello schema, modificalivo dell'articolo 5 della legge n. 1222 del ), ma anche e soprattutto sul piano sostanziale, attraverso:

  • il conferimento iure officii della presidenza dell'agenzia e dei suoi organi centrali (consiglio direttivo, giunta esecutiva) al sottosegretario di Stato delegato dallo stesso ministro (articolo 7 dello schema, modello degli articoli 6 e 7 della legge base);
  • il conferimento iure officii della vicepresidenza dell'agenzia e degli organi centrali sopra indicati ad un direttore generale del Ministero degli affari esteri nominato dal Ministro degli affari esteri (ibidem);
  • l'inserimento, nel consiglio direttivo dell'agenzia, di una rappresentanza adeguata di membri designati dal Parlamento e di membri designati dalle amministrazioni e dagli enti cointeressati alla gestione (Ministero del tesoro, Ministero del bilancio e della programmazione economica, Ministero del commercio con l'estero, Banca d'Italia);
  • l'inserimento, del pari, di rappresentanti della Corte dei conti e dell'amministrazione finanziaria nell'organo di controllo dell'agenzia (collegio dei revisori);
  • la nomina diretta, da parte del Ministro degli affari esteri (su designazione plurinominale del comitato consultivo misto) del segretario generale dell'agenzia, nonché dei direttori di dipartimento facenti parte del consiglio e della giunta esecutiva (ibidem).

Le specifiche attività operative dell'agenzia per lo sviluppo sono dettagliatamente elencate nello stesso articolo 5 terzo comma dello schema legislativo, che emenda l'articolo 5 della legge , n. 1222.

Detta elencazione segue, nelle sue linee generali, le disposizioni legislative emendate, salvo le seguenti variazioni di natura sostanziale:

  • l'affidamento, anzitutto, all'agenzia non solo della « formazione » e dell'« addestramento » dei volontari in servizio civile, ma anche della « selezione » e dell'« impiego » dei volontari medesimi, effettuabili o in via diretta o preferibilmente a mezzo degli enti, istituti ed organismi specializzati e riconosciuti idonei ai sensi del titolo III della legge-base;
  • l'ampliamento, in secondo luogo, delle iniziative volte all'istituzione, all'ammodernamento ed al potenziamento delle strutture di base dei paesi in via di sviluppo, attraverso la « progettazione », « fornitura », la « costruzione » o la « messa in opera » di centri educativi, sanitari, economici e sociali e di altre istituzioni-pilota, pienamente efficienti e funzionanti, e tali da soddisfare le più aggiornate richieste dei paesi interessati; il tutto « col concorso totale o parziale » dei paesi aventi maggiori capacità di autofinanziamento, e salva la possibilità di forniture totalmente gratuite per gli altri paesi della stessa area geopolitica;
  • l'erogazione di prestiti e di altri finanziamenti a condizioni agevolate, destinati all'attuazione di progetti di sviluppo o di progetti sperimentali per l'incremento delle attrezzature culturali, scolastiche, sanitarie e sociali o per il potenziamento delle attività economiche e delle infrastrutture dei paesi assistiti (innovazione quest'ultima, di rilevante importanza, che giustifica pienamente l'integrazione del consiglio direttivo dell'agenzia con rappresentanti del massimo istituto bancario e di emissione italiano);
  • infine, la fornitura gratuita di materiali, attrezzature e derrate, o l'invio di missioni di soccorso, per quell'immediata assistenza alle popolazioni colpite da gravi calamità, che l'articolo 1 dello schema include fra le attività di cooperazione internazionale con i paesi del Terzo Mondodei Paesi in via di sviluppo particolarmente bisognosi di solidarietà.

Fissati i principi fondamentali della strutturazione dell'agenzia per lo sviluppo, l'organigramma dei dipartimenti, dei servizi e degli uffici in cui essa si riparte sono opportunamente demandati ad una normativa di secondo grado, da formularsi a cura dello stesso consiglio direttivo per la definitiva approvazione del Ministro degli affari esteri di concerto con il Ministro del tesoro (vedi articolo 10 dello schema).

Ad analoga normativa di secondo grado è altresi demandata la determinazione del regolamento organico del personale dipendente dall'agenzia, e del trattamento economico, previdenziale ed assistenziale ad esso riservato (ibidera).

Resta ferma (in ottemperanza ad una prassi costante, e in relazione alle effettive esigenze funzionali dell'agenzia) la possibilità di utilizzazione temporanea di perso-nale specializzato proveniente dall'amministrazione degli affari esteri o da altre amministrazioni dello Stato, con spese a totale carico del bilancio dell'agenzia (articolo 11).

Rigorose disposizioni disciplinano la gestione patrimoniale dell'agenzia: specificando le voci fondamentali del suo patrimonio attivo (costituito essenzialmente da un fondo di dotazione, da stanziamenti annui per le finalità della cooperazione, da eventuali apporti finanziari di paesi, enti od organismi internazionali e da proventi derivanti dall'attività finanziaria ed operativa dell'ente medesimo) (articolo 12); regolando le modalità di formulazione e di riscontro dei bilanci preventivi e dei rendiconti consuntivi, da sottoporre alla definitiva approvazione del Ministro degli affari esteri (articolo 13); ferma restando la potestà di controllo successivo del rendiconto annuale da parte della Corte dei conti, secondo le disposizioni della legge , n. 259 (ibidem).

Sono inoltre estese all'agenzia, in conformità alla sua specifica natura e alle particolari funzioni ad essa conferite, le disposizioni fiscali dettate per analogo ente-organo del Ministero del bilancio (l'ISPEIstituto di studi per la programmazione economica dall'articolo 27 della legge , n. 48 (articolo 14).

I successivi articoli dello schema non comportano sostanziali modifiche rispetto al disegno di legge governativo n. 4498 del , n. 48 contenente nuove disposizioni sulla cooperazione tecnica: salvo per quanto attiene, ovviamente, alle competenze funzionali attribuite all'agenzia (che in gran parte sostituiscono quelle del preesistente servizio CTcooperazione tecnica del Ministero degli affari esteri).

Uniche variazioni degne di rilievo sono quelle sancite negli articoli dal 32 al 37 riguardanti il servizio civile. Si tratta di integrazioni e modifiche alla attuale normativa che dieci anni di esperienza (la prima legge sul servizio civile è del ) hanno dimostrato necessarie per meglio definire lo status giuridico dei volontari, e i loro diritti e i loro doveri, sia per consentire a un numero sempre maggiore di giovani di poter accedere al volontarialo, attraverso un rinnovamento delle strutture pubbliche e private che attualmente ne curano l'organizzazione.

Le clausole finanziarie dello schema (articoli 43-44) non sono spropositate anche per quanto attiene all'entità dell'impegno finanziario. Esse prevedono 640 miliardi in quattro anni cui vanno aggiunti gli stanziamenti relativi alla partecipazione ad iniziative di cooperazione multilaterale. Si presume in tal modo (inflazione a parte) di riuscire ad avvicinare la nostra quota di PNLProdotto Nazionale Lordo destinato all'ODAOfficial development assistance, perlomeno alla media internazionale secondo le proiezioni più sopra esposte.

Nelle stesse clausole vi è anche la previsione di uno stanziamento supplementare una tantum, nella misura strettametnestrettamente necessaria alla costituzione del « fondo di dotazione » iniziale dell'Agenzia (articolo 43); e infine è prevista una semplificazione dello speciale procedimento amministrativo-contabile previsto dal decreto legislativo luogotenenziale per l'acquisizione di eventuali apporti finanziari da parte di paesi, enti ed organismi internazionali per l'attuazione di specifici programmi di cooperazio-ne bilaterale o multilaterale (articolo 44).

Degna d'interesse è, infine, la disposizione transitoria di cui all'articolo 45 terzo e quarto comma dello schema, che — ad evitare ogni soluzione di continuità nella gestione amministrativa dell'aiuto allo sviluppo — conserva transitoriamente in vigore l'ordinamento degli uffici del preesistente servizio CTcooperazione tecnica, e consente l'immediata utilizzazione del relativo personale.